sabato 12 maggio 2007

LA VIE EN ROSE, LA REALITE' EN NOIR..

Vedere "La Vie en Rose", ieri sera, è stata un'esperienza sconvolgente. Ti aspetti che l'interprete di una delle canzoni più romantiche mai scritte non possa che essere una florida signora francese del dopoguerra, grande, tonda, aristocratica e grintosa come la sua voce. E invece ti ritrovi davanti ad una donnina piccola, allampanata, curva, truccata come un clown, e dall'aspetto di uno spaventapasseri. "Piaf" vuol dire passero, ed Edith sembra proprio un passerotto, con quel suo corpo fragile che sembra una macchina sgangherata, e quegli occhi sempre smarriti, dolci, l'unica parte di lei a rimanere ingenua fino alla fine.
Si, perchè Edith Piaf era una dannata, dalla vita difficilissima e dalla morte lenta ed atroce. Sfortunatissima fin dall'infanzia passata nella più bassa miseria, cresciuta tra le prostitute e gli acrobati di un circo, abbandonata dalla madre e costretta a chiedere l'elemosina dal padre, Edith incanta la Francia intera con la sua voce perfetta, possente. Ti chiedi da dove possa venire quella voce, non certo da quello scricciolo di donna, gobba e scheletrica, drogata e alcolizzata. E invece è come se mettesse tutta la sua forza, il suo essere proprio lì, concentrato nelle corde vocali; e allora ti cattura, ti ammalia, ti strega, ti porta nella canzone, e lei DIVENTA la canzone stessa.
Alla sua morte è una vecchia invalida, quasi calva, divorata da artriti e tremori. Sembra una novantenne ma in realtà ha solo 48 anni. La sua lucidità mentale, fino alla fine, rende la sua morte ancora più dolorosa, e l'ultimo ricordo è collegato alla più grande disgrazia della sua vita, tenuta in segreto per tanto, troppo tempo.
Ho pianto come non ho mai pianto guardando un film; ho pianto per la tristezza e la compassione nei confronti di chi canta di una vita colorata di rosa, quando la sua non è stata altro che un profondo buco nero.