martedì 14 dicembre 2010

PERCHE' LEGGERE "IL CIRCOLO PICKWICK"

Si può scrivere un romanzo di 800 pagine in cui non ci sia alcun personaggio eroico, nessun episodio scabroso, non un fatto eclatante, nessuna tragedia in agguato? Si può raccontare la vita normale di personaggi normali, senza per questo mai cadere nella banalità, senza mai annoiare il lettore? E ancora: si possono far ridere i lettori del 21° secolo sciorinando una carrellata di personaggi e situazione tipici del 19°?
Sì, si può. Si può, se ti chiami Charles Dickens e se il libro in questione è il Circolo Pickwick, un capolavoro dell’English sense of Humor, delineato da un’ironia sottile e una neppure troppo velata polemica che abbraccia varie situazioni e istituzioni della società vittoriana.
Tutti i protagonisti del libro – anche Mr. Pickwick – sono stereotipi, eppure il loro aspetto caricaturale è ciò che li rende indimenticabili. In questo libro i servitori sono fedeli e arguti, i benestanti grassi e allegri, gli avvocati sono truffatori incalliti, e i truffatori diventano imbroglioni pentiti. Le donne tiranneggiano subdolamente i loro mariti a suon di svenimenti e lacrime isteriche, i religiosi sono ipocriti, i medici dei simpatici ciarlatani e tutti – tutti – sembrano avere un affetto particolare per le bevute alcoliche.
Consiglio questo libro, anche per letture ai bambini prima della nanna, perché si entra in un mondo dove i difetti appartengono a tutti, dove gli sbagli sono perdonati se commessi a fin di bene, dove l’onestà e la correttezza vengono prima di tutto, e dove si insegna che la vita va goduta, la realtà esplorata, le colpe espiate, l’amore incoraggiato, e il divertimento ricercato nelle cose più semplici.

giovedì 30 settembre 2010

NIENTE PAURA

La Costituzione italiana è stata scritta da e per una popolazione ispirata da valori ormai molto lontani da quelli dei giorni nostri, e dai quali sarebbe bene farsi nuovamente contagiare. Nel suo intervento nel film Niente Paura, Paolo Rossi, lamenta il fatto che l’italiano del 2010 ha perso interesse a partecipare attivamente alla realtà che lo circonda. Nel secondo dopoguerra, gli italiani che redassero la costituzione volevano (dovevano) cambiare il mondo. Erano uomini attivi, propositivi, coinvolti, battaglieri, lavoratori, pronti a combattere (nel senso letterale del termine) per una realtà migliore, per ritagliarsi un posto nella società in cui poter far valere la propria voce.
L’italiano del 2010 – dice Paolo Rossi – si lamenta, si indigna, borbotta, minaccia, ma poi spegne la luce e va a dormire, e ricomincia un altro giorno senza che abbia FATTO nulla. E così, aspettando, sperando, la vita va avanti e la realtà non cambia. Cito dal film: “Questo paese non è di chi lo governa, ma di chi lo abita”: cioè, NOSTRO. Di TUTTI. E tutti abbiamo il DOVERE di realizzare il sogno di una vita migliore. Le nostre azioni, anche le più piccole, hanno un significato e delle conseguenze. L’indignazione non serve a niente se non è accompagnata da una proposta, da una protesta, da una partecipazione interessata.
Nel film di Piergiorgio Gay sono molti gli interventi di personaggi famosi (oltre a Paolo Rossi e Ligabue), da Verdone a Margherita Hack, da Umberto Veronesi a Fabio Volo; ma sono altrettante le voci di giovani “qualunque” che raccontano di una realtà che non piace, di un disagio comune, di un muro che si vorrebbe sfondare. Una diciottenne dichiara che i ragazzi più giovani non hanno conosciuto l’Italia delle contestazioni, dell’interesse sociale, della democrazia vecchio stile indomma, quella con la D maiuscola. L’Italia di personaggi forti e positivi come Berlinguer e Pertini: per questo penso che il film dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole d’Italia: perché è uno specchio che riflette l’immagine rassegnata e stanca di un’Italia ignorante e noncurante. I ragazzi dovrebbero sapere che Pertini - ormai molto tempo fa - condannava i politici coinvolti in scandali e corruzioni, e dichiarava con tutto il vigore possibile che chi fa politica deve avere le “mani pulite”; devono sapere chi è Guido Rossa; devono conoscere la gravità del delitto Falcone e tutto ciò che ne è conseguito; devono vedere le immagini della prima nave, stipata da 20.000 profughi (20.000!!), arrivati dall’Albania nel ’91. Devono sapere come eravamo, come siamo. Devono voler essere migliori.

lunedì 22 marzo 2010

INVICTUS contro VERGOGNA: le due facce del Sudafrica post Apartheid

>Due settimane fa, spinta da curiosità per il nuovo lavoro di Clint Eastwood, ho visto “Invictus” al cinema, e subito mi è ritornato in mente un magnifico, tristissimo libro del premio Nobel J.M. Coetzee, “Vergogna”, edito da Einaudi (se conoscete l’inglese, consiglio sempre la versione originale – “Disgrace”, Ed. Vintage).

Tema comune è il Sudafrica del post Apartheid, visto però da due angolazioni diverse: il film di Eastwood è ambientato durante la presidenza di Mandela, che illuminato da forti speranze e guidato da una volontà titanica, cerca con tutte le sue forze di eliminare ogni traccia dei pregiudizi e delle differenze razziali che l’Apartheid appena finito (siamo nel 1992) aveva radicato nei 45 anni di permanenza. Per ottenere il suo scopo Mandela chiederà aiuto alla squadra nazionale di rugby, orgoglio degli afrikaaners e detestata dai neri, che si appresta a partecipare ai mondiali che si terranno proprio in Sudafrica. Mandela conta che una possibile vittoria della squadra possa arginare sia la sete di vendetta della popolazione di colore, dotata ora di nuova sicurezza dall’avere un presidente nero, eroe nazionale sopravvissuto ad oltre 20 anni di prigione, portavoce di tutte le sofferenze e di tutte le richieste della popolazione nera, sia lo snobismo degli Afrikaaners, che ancora si sentono superiori solo perché hanno la pelle più chiara. Riuscirà Mandela nel suo intento? A giudicare da come la pensa Clint Eastwood, pare proprio di sì. La popolazione nera si appassiona alle vicende della squadra, la squadra acquista nuova forza dal sostegno nazionale e da quello presidenziale, vincerà il mondiale e lascerà allo spettatore un lieto fine, che fa ben sperare un futuro di integrazione, se non addirittura di amicizia, tra le due popolazioni.

Che le cose non siano andate così ce lo dice Coetzee, con un romanzo antecedente al film, ma ambientato qualche anno dopo, nel 1999. Se “Invictus” si fonda sulla speranza e sull’ottimismo, “Vergogna” lascia l’amaro in bocca, ti apre gli occhi sulla desolazione e sulla mancanza ottimismo del Sudafrica post Apartheid. Il professor Lurie, in seguito ad una torbida relazione sessuale con una sua allieva, riceve il benservito dall’Università di Cape Town e si trasferisce nella fattoria della figlia Lucy. Se la città appare come luogo protetto, uniforme, la vita di campagna è molto dura, aspra, arretrata e pericolosa. Le rappresaglie dei neri sono temute, ci si barrica in casa la notte rassegnandosi ad uno stile di vita senza troppe prospettive. Quando la proprietà di Lucy viene saccheggiata e la ragazza violentata da un gruppo di delinquenti di colore, nessuno reagirà. Sia Lucy che Lurie, accetteranno lo stato delle cose, anzi si accomoderanno ad esse, senza nessuna speranza di cambiamento, privi dell’ottimismo che caratterizzava il governo di Mandela, e il film di Clint Eastwood. Non a caso il titolo originale del romanzo “Disgrace”, la dice lunga sulla situazione del Sudafrica post Apartheid. E non me ne voglia il Signor Eastwood, ma essendo Coetzee sudafricano, sono più propensa a credere alla sua versione dei fatti.