mercoledì 25 novembre 2009

THE NEW YORK TRILOGY, Paul Auster

Tema fondamentale della Trilogia di Paul Auster è l’identità, o meglio, la mancanza di identità e la sua ricerca in una realtà contemporanea come poteva essere quella newyorchese negli anni 80, già allora globalizzata e alienante.
Le tre storie che fanno parte della trilogia iniziano come detective stories, ma non solo tali, non ne hanno neanche la pretesa. Non pensate di leggere di omicidi, suspance ed inseguimenti, ma piuttosto di introspezione, ricerca interiore, disorientamento dentro sé stessi e nella città. New York è una presenza costante, avvolgente ma nello stesso tempo invisibile. E’ una città che sia affaccia appena nella narrazione, ma che la coinvolge completamente. E’ l’esternazione del labirinto interiore dei protagonisti, che sembrano continuamente perdersi dentro se stessi come dentro gli eventi che li colpiscono. Sì, perché gli eventi, cercano i loro attori e li sconvolgono, a tal punto che le loro già labili sicurezze vengono completamente distrutte e ribaltate nel corso della narrazione. Quinn viene scambiato per un investigatore privato, al quale un misterioso committente affida un caso che lo trasformerà mentalmente e fisicamente, immedesimandosi talmente nella sua identità fittizia da farsene travolgere. Nel secondo racconto, Blue spia Black su commissione di White, ma si renderà conto che a sua volta lui stesso viene spiato, che Black e White non esistono, e che lui altri non è che Blue Black e White insieme, e quindi non è più nessuno… Il protagonista del terzo racconto scrive la biografia dell’amico d’infanzia misteriosamente scomparso, e si immergerà gradatamente nella sua vita privata, accomodandosi negli spazi vuoti da lui lasciati.
Non solo i tre protagonisti non hanno un’identità precisa, ma si sdoppiano in un alter ego che finirà per distruggerli. Sono Dottor Jeckyll e Mr. Hide, sono il kafkiano Gregor Samsa, sono in balia degli eventi, spettatori passivi delle azioni che l’altra metà di sé stessi compie trasformando irraversibilmente la loro esisteza.

venerdì 23 ottobre 2009

STRADA PROVINCIALE TRE, Simona Vinci.

Bellissimo questo romanzo della bolognese Simona Vinci, che racconta la ribellione interiore di una donna definita normale; una donna, tuttavia, a cui la normalità ha tolto libertà e gioia di vivere. Vera corre, scappa, non si sa da cosa, né da chi. Corre lungo la Strada Provinciale Tre, altrimenti detta trasversale di pianura, in mezzo a desolazione e smog: tir, prostitute, spazzatura, mendicanti. Capannoni industriali e case coloniche abbandonate convivono e resistono fianco a fianco, oppressi da smog e rumore, afa, nebbia e grigiume. Il paesaggio alienante della campagna deturpata dall’industria riflette il carattere della protagonista, che alienata dalla sua stessa vita, vaga senza una meta precisa lungo il ciglio della strada, chiusa in se stessa, senza nient’altro che i suoi confusi pensieri, e con l’unico impulso di non fermarsi, rifiutare ogni contatto umano e ogni stabilità.
Le due persone in cui si imbatterà lungo il cammino le assomigliano in quanto sole, dimenticate, invisibili agli altri e rinchiuse nel proprio mondo: Franco, il vecchio che rifiuta di abbandonare la sua casa decadente sul bordo della strada, e Dimitri, emigrato ucraino che sogna una vita migliore. Allo stesso tempo però, si differiscono da lei perché radicati alla propria realtà, rassegnati a quello a cui la vita li ha portati. Vera invece, scappa da se stessa, da quello che è stata e da un’esistenza di cui non riesce più a cogliere il senso. Vera cerca la libertà dai vincoli e dalle costrizioni che la società impone a lei come a tutti noi, rifiuta non tanto la NORMALITA’, quanto l’ACCETTAZIONE della normalità e della quotidianità.
Vera è una donna qualsiasi, e qualsiasi donna potrebbe essere Vera.

lunedì 19 ottobre 2009

Stieg Larson, UOMINI CHE ODIANO LE DONNE

Raramente mi è capitato di imbattermi un libro così mal scritto come UOMINI CHE ODIANO LE DONNE. Al di là della questione letteraria o narrativa (anche qui avrei parecchie cose da ridire..), mi riferisco traduzione ed editing: semplicemente, il linguaggio non sta in piedi. Quasi ogni frase scritta ha un errore di costruzione, punteggiatura, o inesattezza lessicale. Ci sono in particolare alcune chicche che meritano una nota:
- un personaggio è descritto come un viveur che si diverte facendo surf nelle “Indie Occidentali”. In effetti esiste una confederazione di stati caraibici chiamati Indie Occidentali Britanniche, ma il termine mi sembra comunque talmente anacronistico da essere quasi ridicolo. Invece di parlare di Caraibi o centro America, Indie Occidentali mi fa subito pensare alle 3 caravelle..
- un altro personaggio racconta di aver trovato temporaneamente alloggio e rifugio in un convento, ma – cito testualmente – “non facevo la suora”. Secondo voi, è possibile fare la suora? Essere suore, o preti, o frati, è un lavoro che si fa per un periodo, come può essere il cameriere, l’insegnante o il poliziotto? Oppure è uno stato d’essere permanente, una scelta di vita che condiziona tutti gli aspetti della vita? Io propenderei per la seconda.
A questo punto mi chiedo due cose:
1. Come sarà in lingua originale? E nelle altre lingue in cui è stato tradotto? A giudicare dal successo di pubblico, spero che gli altri editori siano stati un po’ più precisi e attenti di quello italiano. Il libro si legge bene, è scorrevole e avvincente, nonostante le continue ripetizioni e lo spreco di inutili dettagli, che ne fanno lievitare considerevolmente il volume (memorabili le 10 righe di caratteristiche tecniche per descrivere il nuovo Mac della protagonista).
2. Mi domando inoltre come sia possibile che nessun lettore si sia accorto di quelle che non sono semplici sviste, ma grosse imprecisioni, e perché la trilogia sia diventata un successo di massa. Immagino che sia per lo stesso motivo per cui anche personaggi di spicco, giornalisti e politici hanno smesso di usare il congiuntivo, o per cui cuochi ed esperti di cucina parlano DEI gnocchi (semplicemente atroce!). Ma ci siamo così linguisticamente appiattiti da non riconoscere quando una storia è scritta bene e quando male? Quando leggiamo, siamo così distratti da non accorgerci che le frasi “non filano” come dovrebbero?

martedì 15 settembre 2009

ZAMMU' E MALAZENI: I GEMELLI DIVERSI

“gemelli diversi” Zammù e Malazeni, concepiti dalle stesse persone per venire incontro ad esigenze diverse, o meglio, a mood diversi. Mi verrebbe da dire: quando ti senti “rock”, vai da Malazeni, quando ti senti “lento”, Zammù è il posto ideale. Questo perché Malazeni è più grande, la musica ha un volume più alto, si ascolta rock piuttosto che de Andrè o Capossela.
Come dire, Malazeni è più da birra, mentre da Zammù si va per gustarsi un buon bicchiere di vino. Da Malazeni i tavoli sono lunghi, gli spazi ampi, e un cortile interno funge da sala fumatori. Tuttavia, anche se i due locali sono apparentemente ed esteticamente differenti, sono pur sempre fratelli, e lo zampino dei genitori, alias Massimo e Laura, è ben visibile.
Primo: entrando in Malazeni non si può fare a meno di notare la gigantesca scultura di cartapesta , mentre i mitici soli di Cartura illuminano la lunga sala assieme a violini e sax luminosi (sì, sono lampadari – entrare per credere). Per chi non lo sapesse, anche Zammù è decorato con le creazioni di cartapesta – chi non ha notato la carrellata di personaggi famosi che “popolano” il locale? Per non parlare delle “Gradisca”, le marionette, le giraffe e i gatti.
Altra caratteristica lampante è la genuinità del posto: niente banconi patinati, sedie luccicanti e fighetterie inutili, questo locale, anche se ha appena aperto, è già vissuto. Il vecchio pavimento è stato interamente ricoperto con carta da riciclo, pagine di riviste e libri portati dai clienti di Zammù. Sul soffitto tubi a vista, mentre una parte di parete è stata trasformata in un’enorme lavagna (sempre un’opera di fai-da-te, c’è da scommetterci) dove viene periodicamente segnato il menù del momento. E qui arriviamo ad un aspetto fondamentale di Malazeni, che nasce con uno scopo bellissimo e ben preciso: la raccolta e l’incontro di culture diverse, che trovano espressione concreta nel mettere in tavola piatti della cucina povera del mondo. Cucina povera significa fatta con ingredienti poco costosi e facili da trovare (nel paese d’origine ovviamente), piatti semplici, in un certo senso anche loro fai-da-te. Qualche esempio: linguine al pesce azzurro, cous cous alla marocchina, Irish Stew, merluzzo e patate e via dicendo. Il menù cambia ogni 15 giorni ed è il frutto di una continua ricerca culinaria che coinvolge tutte le zone del mondo.
A differenza della maggior parte dei locali, e seguendo la falsariga del “gemello diverso” Zammù, Malazeni è stato creato con un intento che si distacca dall’arido business. ENTRARE PER CREDERE.

martedì 24 febbraio 2009

25 COSE CHE IL MONDO ANCORA NON SAPEVA DI ME (E IN FONDO ANDAVA BENISSIMO COSI'..)

1. Ho una passione smisurata per i cimiteri di campagna, decadenti e pieni di lapidi storte e rotte. Uno dei miei sogni è quello di visitare il cimitero di Spoon River con il libro in mano, fermandomi ad ogni lapide per leggere la poesia corrispondente. E’ che mi piace immaginare la vita degli altri, soprattutto se vissuta in altri tempi.
2. Per lo stesso motivo, adoro le case abbandonate, le catapecchie e i ruderi. Chiedete a Max quante volte l’ho fatto fermare per fare una foto ad un ammasso di pietre e finestre storte, porte sbarrate e case senza tetto!
3. Da piccola mi sarei voluta sposare a 24 anni, avere un figlio a 26 e un altro a 28!! Notare che in realtà quando avevo 24 anni il matrimonio era il mio pensiero più lontano..
4. Non riesco in alcun modo a mangiare le castagne. L’odore di caldarroste mi fa impazzire, ma se provo a mangiarne una, semplicemente non riesco a mandarla giù.
5. Ho pensato mille volte di iniziare un elenco di tutti i libri che ho letto, per vedere quanti sono, ma ogni volta mi dico che sarebbe troppo faticoso ricordarseli tutti.
6. Quando andavo alla scuola materna il mio gioco preferito era la palla, e obbligavo mia mamma a giocare con me a pallavolo in camera, in una patetica imitazione di Mimì (a lei davo sempre la parte di Midori). Per chi mi conosce, e conosce la mia avversione per la pallavolo che mi caratterizza dagli anni delle medie ad oggi, questa è una rivelazione shock..
7. Non riesco a seguire un tg per più di 5 minuti: il più delle volte mi rifiuto di cambiare canale, e mi sforzo di fare attenzione alle notizie, ma appena si parla di politica mi distraggo e mi ritrovo a pensare ai fatti miei. La mia attenzione ritorna miracolosamente ai fatti di cronaca e - soprattutto – di costume.
8. Conosco le battute di “Pretty Woman” e “A Piedi Nudi nel Parco” a memoria: se mi dite l’inizio di una frase del copione, sono abbastanza sicura di poterla completare.
9. Confessione musicale: ho sempre dichiarato di odiare i Take That, ma più per spirito di negazione adolescenziale che per altro. Volevo solo distinguermi dalla massa. In realtà ho anche una loro cassetta, mi piaceva Howard, e quando su Cioè c’erano articoli su di loro andavo segretamente a leggerli.
10. Ho nutrito un odio profondo verso il nuoto agonistico, e il terrore puro per le gare domenicali. Sinceramente, non so come ho fatto a resistere due anni in questo stato.
11. Da piccola non volevo fare la ballerina, bensì l’”architetto del verde”. Arredare cioè i giardini. Non ho idea da cosa sia derivata la passione per questo lavoro, visto che le piante non sono mai state di mio grande interesse :P
12. Tra i 9 e i 15 anni, ho iniziato a scrivera almeno 4 romanzi, tutti immancabilmente abbandonati passate le 20 pagine. “Piccole Donne” e i libri fantasy sono stati i miei romanzi ispiratori. Conservo ancora il quadernino con tutte le pagine scritte: ogni tanto rileggerle è puro spasso 
13. Me ne vergogno un sacco, ma ultimamente mi capita di addormentarmi al cinema! Esclusivamente all’ultimo spettacolo, e di solito solo se è venerdì (cioè dopo una giornata di lavoro). Passata la prima metà mi si chiudono gli occhi nonostante mi sforzi con tutta me stessa di ascoltare. E la cosa più terribile è che questo non mi capita mai davanti alla tv, nonostante le schifezze che spesso trasmettono!
14. Da piccola giocavo con le macchinine, i Trasformers e He-Man. Barbie e tegamini sono arrivati dopo.
15. Sono maniaca dell’ordine: ogni cosa ha il suo posto, perfino i cuscini che ho sul letto devono avere una posizione precisa. I quadri vanno raddrizzati, ma soprattutto non sopporto le camicie col colletto storto, le maglie che fanno le pieghe sotto i maglioni, e quando le borse a tracolla storgono e sgualciscono le giacche o le magliette.
16. Da bambina sono stata innamorata di Willy Fog (il personaggio dei cartoni animati – era un leone, ndr) e di Superman, oltre che del mio maestro di sci e del papà di un mio compagno dell’asilo
17. Ho ascoltato la cassetta audio della “Carica dei 101” almeno cento volte, e si passa a 1000 volte se si considera la parte in cui Rudy e Anita si conoscono al parco e cadono nel laghetto.
18. Ho una voglia sulla guancia, ma si vede solo quando prendo il sole, e solo si si osserva bene.
19. Rimanendo sul campo fisico: sono anni che ogni tanto mi cresce un capello (nota: capello, non pelo) bianco sulla guancia sinistra di fianco al naso. Non si vede perché è praticamente trasparente, ma ogni volta lo strappo e ogni volta ritorna..ALIEN!
20. Non riesco a leggere + di due pagine di seguito in formato elettronico: i file lunghi me li devo sempre stampare
21. Quando giro in macchina sono priva di senso dell’orientamento. Mi capita di perdermi appena fuoriesco dai percorsi più conosciuti, e per questo ritengo che il navigatore satellitare sia una delle migliori invenzioni degli ultimi tempi, nonché una delle poche tecnologie veramente utili.
22. Conservo ancora tutti i puffi e le bamboline di carta con tutti i loro vestitini ritagliati. Erano i miei giochi preferiti quando avevo la febbre. Credo che non li butterò mai via.
23. Nutro il desiderio impossibile di visitare tutti i posti del mondo, ma proprio tutti..
24. L’unica cosa che mi fa realmente imbestialire è la mancanza di rispetto nei confronti degli altri, oltre che di me stessa.
25. Credo di avere provato tutti gli yogurt esistenti sul mercato. Niente da fare, sono tutti troppo acidi, non sono mai riuscita a finire un barattolo.