Bellissimo questo romanzo della bolognese Simona Vinci, che racconta la ribellione interiore di una donna definita normale; una donna, tuttavia, a cui la normalità ha tolto libertà e gioia di vivere. Vera corre, scappa, non si sa da cosa, né da chi. Corre lungo la Strada Provinciale Tre, altrimenti detta trasversale di pianura, in mezzo a desolazione e smog: tir, prostitute, spazzatura, mendicanti. Capannoni industriali e case coloniche abbandonate convivono e resistono fianco a fianco, oppressi da smog e rumore, afa, nebbia e grigiume. Il paesaggio alienante della campagna deturpata dall’industria riflette il carattere della protagonista, che alienata dalla sua stessa vita, vaga senza una meta precisa lungo il ciglio della strada, chiusa in se stessa, senza nient’altro che i suoi confusi pensieri, e con l’unico impulso di non fermarsi, rifiutare ogni contatto umano e ogni stabilità.
Le due persone in cui si imbatterà lungo il cammino le assomigliano in quanto sole, dimenticate, invisibili agli altri e rinchiuse nel proprio mondo: Franco, il vecchio che rifiuta di abbandonare la sua casa decadente sul bordo della strada, e Dimitri, emigrato ucraino che sogna una vita migliore. Allo stesso tempo però, si differiscono da lei perché radicati alla propria realtà, rassegnati a quello a cui la vita li ha portati. Vera invece, scappa da se stessa, da quello che è stata e da un’esistenza di cui non riesce più a cogliere il senso. Vera cerca la libertà dai vincoli e dalle costrizioni che la società impone a lei come a tutti noi, rifiuta non tanto la NORMALITA’, quanto l’ACCETTAZIONE della normalità e della quotidianità.
Vera è una donna qualsiasi, e qualsiasi donna potrebbe essere Vera.
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