Se hai letto “Possessione” e ne sei rimasto incantato,
la prima domanda che ti fai quando intraprendi la lettura de “Il libro dei
bambini” è: “ma che è successo?”. Perché c’è qualcosa che non va, è chiaro. Non
sai se questa sensazione venga da te, che hai aspettative troppo elevate, data
la genialità del primo romanzo della Byatt oppure se il problema stia.. nella
traduzione? Nell’edizione? Nella stessa scrittrice? Poi vai a controllare: i
traduttori sono gli stessi, la casa editrice - Einaudi – anche, ed è una tra le più serie.
Ma c’è qualcosa che stona, decisamente stona. Forse è il linguaggio che non va:
troppe ripetizioni, frasi come buttate lì, senza un nesso logico con la storia,
sembrano quasi aggiunte per errore, ma non sono essenziali. Troppe descrizioni
senza un perché. Termini arcaici e colti – il che va benissimo visto il
contesto della storia – che improvvisamente scadono in una parola o un’espressione
volgare. Anche quella, messa lì, a turbare l’equilibrio dell’intero passaggio,
come un sasso buttato in un lago altera la calma piatta dell’acqua. Non è che
mi scandalizzi, né il libro può definirsi volgare, ci mancherebbe! Ma uno ha la
sensazione che ci siano parole, espressioni, frasi, che sono fuori posto, come
se Mina, o Bocelli steccassero mentre cantano uno dei loro brani.
E poi, la storia è troppo lunga, un po’ noiosa, sembra
sempre lì lì per decollare, ma di fatto non lo fa mai (sono ancora a pagina
250, ne ho ancora circa 450, tutto può ancora cambiare). E non si sa bene dove
voglia andare a parare. “Possessione” era coinvolgente, appassionante,
linguisticamente perfetto, idealmente geniale. “Il libro dei bambini” non è all’altezza
del precedente: magari la Byatt ha perso un po’ del suo genio, oppure è stanca,
non ha più inventiva, o è invecchiata, anche se la letteratura non sempre risente
della vecchiaia. Che peccato. Non mi rimangono che 450 pagine da leggere, con
la speranza di ritrovare la Byatt di “Possessione”.