venerdì 22 novembre 2013

IL LETTORE FETISH


Avere un e-reader ha senza dubbio dei vantaggi. Ad esempio, puoi leggere un libro di 1000 pagine senza far esplodere la borsa quando te lo porti in giro, o indolenzirti le braccia quando leggi sotto le coperte. Puoi leggere in lingua originale con l’aiuto incorporato del vocabolario, senza dover posare il libro tutte le volte che non hai capito, e senza invadere il divano – o ancora peggio, il letto – con altri pesantissimi tomi. E poi, c’è l’enorme vantaggio di avere moltissimi classici a tua disposizione e praticamente gratuiti.
Però. PERO’ leggere un ebook non è la stessa cosa che leggere un libro vero, di carta. Manca la poesia.

COSE DEI LIBRI CARTACEI CHE MI MANCANO QUANDO LEGGO UN EBOOK
  • Annusare le pagine: aprire a caso e tuffarci dentro il naso, sia quando il libro è intonso, sia quando è stato letto e riletto
  • -         Toccare gli angoli, sentire la consistenza della carta. Sfogliare a caso, ascoltare il rumore delle pagine che girano
  • -         Rigirarsi il libro tra le mani una volta finito, stringerlo e guardarlo prima di lasciarlo definitivamente andare
  • -         Rileggersi la quarta di copertina finchè non ti si è stampata nella memoria, perché si crei quella voglia di immergersi nella storia il prima possibile, o per staccarsene di tanto in tanto, prima di farsi di nuovo travolgere


Quindi credo proprio che la partita libro vs ebook la vinca il libro, 1-0.

martedì 29 novembre 2011

IL LIBRO DEI BAMBINI di As.S. Byatt



Se hai letto “Possessione” e ne sei rimasto incantato, la prima domanda che ti fai quando intraprendi la lettura de “Il libro dei bambini” è: “ma che è successo?”. Perché c’è qualcosa che non va, è chiaro. Non sai se questa sensazione venga da te, che hai aspettative troppo elevate, data la genialità del primo romanzo della Byatt oppure se il problema stia.. nella traduzione? Nell’edizione? Nella stessa scrittrice? Poi vai a controllare: i traduttori sono gli stessi, la casa editrice  - Einaudi – anche, ed è una tra le più serie. Ma c’è qualcosa che stona, decisamente stona. Forse è il linguaggio che non va: troppe ripetizioni, frasi come buttate lì, senza un nesso logico con la storia, sembrano quasi aggiunte per errore, ma non sono essenziali. Troppe descrizioni senza un perché. Termini arcaici e colti – il che va benissimo visto il contesto della storia – che improvvisamente scadono in una parola o un’espressione volgare. Anche quella, messa lì, a turbare l’equilibrio dell’intero passaggio, come un sasso buttato in un lago altera la calma piatta dell’acqua. Non è che mi scandalizzi, né il libro può definirsi volgare, ci mancherebbe! Ma uno ha la sensazione che ci siano parole, espressioni, frasi, che sono fuori posto, come se Mina, o Bocelli steccassero mentre cantano uno dei loro brani.
E poi, la storia è troppo lunga, un po’ noiosa, sembra sempre lì lì per decollare, ma di fatto non lo fa mai (sono ancora a pagina 250, ne ho ancora circa 450, tutto può ancora cambiare). E non si sa bene dove voglia andare a parare. “Possessione” era coinvolgente, appassionante, linguisticamente perfetto, idealmente geniale. “Il libro dei bambini” non è all’altezza del precedente: magari la Byatt ha perso un po’ del suo genio, oppure è stanca, non ha più inventiva, o è invecchiata, anche se la letteratura non sempre risente della vecchiaia. Che peccato. Non mi rimangono che 450 pagine da leggere, con la speranza di ritrovare la Byatt di “Possessione”.

giovedì 23 giugno 2011

PIAZZA DELL'UNITA', di Maurizio Matrone, Ed. Marcos Y Marcos

Vorrei segnalare questo bel romanzo di Maurizio Matrone a tutti i bolognesi, ma in particolar modo ai bolognesi della Bolognina (che più Bologna di così..), perché proprio del nostro quartiere si parla. Troverete scene ambientate in Via Stalingrado, P.zza dell’Unità, Aldini-Valeriani, Via Ferrarese. Sarete indecisi se riconoscervi o no parte della realtà che viene descritta, perché Matrone, da ex poliziotto quale è, descrive il quartiere dal punto di vista di uno che sulla strada ci è passato parecchie volte, sia di giorno che di notte, e che di cose ne ha viste e sentite. Se come me siete nati e cresciuti nella Bolognina, leggendo il romanzo vi chiederete anche se siamo davvero in Italia, visto che quasi nessuno dei personaggi che vi sono descritti è italiano. Mohammad, infatti, è marocchino, Shen Li e Tsa Li cinesi, Roman un moldavo che si finge rumeno, Michael Viene dalla Burkina Fasu, Elena fa parte della comunità Rom, e via dicendo. Gli italiani sono poliziotti (dalla moralità alquanto discutibile), infermieri, passanti. E’ come se Matrone mostrasse solo una delle realtà di questo quartiere, quella degli immigrati, che tocca, quasi, quell’altra, quella degli italiani, ma che non vi si mischia mai. Peccato privarsi della ricchezza dell’interculturalità, no?

martedì 4 gennaio 2011

TRUCCHIAMOCI CON LA CLIO

Avete presente quando vi imbattete in qualcosa che non avevate mai preso in considerazione prima, o che non conoscevate affatto, e quel qualcosa vi piace talmente tanto che non riuscite a pensare ad altro? Vi viene proprio la MANIA di quel qualcosa, e anche se sapete che tra un paio di settimane – o anche meno – la mania vi sarà passata, il vostro maggior desiderio è quello di possedere, conoscere, vedere TUTTO quello che riguarda il QUALCOSA dei vostri sogni.
Ecco, in questi giorni il mio “qualcosa” sono i trucchi – sì sì, proprio loro, io che non li uso mai, che ho ancora un lucidalabbra regalatomi 15 anni fa (tra l’altro è tra quelli che uso di più, infatti è a meno di metà).
Tutto merito della Clio, no non la mia macchina, non la Juni! La Clio di YouTube, quella di Clio Make Up, dei tutorial di trucco seguitissimi sul web. Prprio lei, Clio Zammatteo, che si è fatta un nome grazie alla rete e ai passaparola, che ha già pubblicato due libri con la Rizzoli, che ora collabora con Pupa, che abita e lavora a NYC, che oltre ad essere brava e bella, è pure giovanissima (28 anni).
‘Somma, dopo aver guardato un paio di suoi tutorial mi è venuta voglia – a me??!! – di truccarmi, e di fare shopping. E difatti, in 2 giorni ho speso oltre 50 € da Kiko in prodotti che userò credo una volta (lo so già, non mi sveglio prima per truccarmi alla mattina, neanche per sogno!). Ma che importa, adesso ho voglia di imparare a truccarmi come fa lei, almeno forse saprò qualche segreto in più alla prossima cena o alla prossima festa. E poi è bello sapere che ci sono persone di gran talento che sono anche giovani e semplici, che non se la tirano per niente, simpatiche e solari. Che sia questo il segreto dei segreti, il Trucco con la T maiuscola, del successo di Clio?

martedì 14 dicembre 2010

PERCHE' LEGGERE "IL CIRCOLO PICKWICK"

Si può scrivere un romanzo di 800 pagine in cui non ci sia alcun personaggio eroico, nessun episodio scabroso, non un fatto eclatante, nessuna tragedia in agguato? Si può raccontare la vita normale di personaggi normali, senza per questo mai cadere nella banalità, senza mai annoiare il lettore? E ancora: si possono far ridere i lettori del 21° secolo sciorinando una carrellata di personaggi e situazione tipici del 19°?
Sì, si può. Si può, se ti chiami Charles Dickens e se il libro in questione è il Circolo Pickwick, un capolavoro dell’English sense of Humor, delineato da un’ironia sottile e una neppure troppo velata polemica che abbraccia varie situazioni e istituzioni della società vittoriana.
Tutti i protagonisti del libro – anche Mr. Pickwick – sono stereotipi, eppure il loro aspetto caricaturale è ciò che li rende indimenticabili. In questo libro i servitori sono fedeli e arguti, i benestanti grassi e allegri, gli avvocati sono truffatori incalliti, e i truffatori diventano imbroglioni pentiti. Le donne tiranneggiano subdolamente i loro mariti a suon di svenimenti e lacrime isteriche, i religiosi sono ipocriti, i medici dei simpatici ciarlatani e tutti – tutti – sembrano avere un affetto particolare per le bevute alcoliche.
Consiglio questo libro, anche per letture ai bambini prima della nanna, perché si entra in un mondo dove i difetti appartengono a tutti, dove gli sbagli sono perdonati se commessi a fin di bene, dove l’onestà e la correttezza vengono prima di tutto, e dove si insegna che la vita va goduta, la realtà esplorata, le colpe espiate, l’amore incoraggiato, e il divertimento ricercato nelle cose più semplici.

giovedì 30 settembre 2010

NIENTE PAURA

La Costituzione italiana è stata scritta da e per una popolazione ispirata da valori ormai molto lontani da quelli dei giorni nostri, e dai quali sarebbe bene farsi nuovamente contagiare. Nel suo intervento nel film Niente Paura, Paolo Rossi, lamenta il fatto che l’italiano del 2010 ha perso interesse a partecipare attivamente alla realtà che lo circonda. Nel secondo dopoguerra, gli italiani che redassero la costituzione volevano (dovevano) cambiare il mondo. Erano uomini attivi, propositivi, coinvolti, battaglieri, lavoratori, pronti a combattere (nel senso letterale del termine) per una realtà migliore, per ritagliarsi un posto nella società in cui poter far valere la propria voce.
L’italiano del 2010 – dice Paolo Rossi – si lamenta, si indigna, borbotta, minaccia, ma poi spegne la luce e va a dormire, e ricomincia un altro giorno senza che abbia FATTO nulla. E così, aspettando, sperando, la vita va avanti e la realtà non cambia. Cito dal film: “Questo paese non è di chi lo governa, ma di chi lo abita”: cioè, NOSTRO. Di TUTTI. E tutti abbiamo il DOVERE di realizzare il sogno di una vita migliore. Le nostre azioni, anche le più piccole, hanno un significato e delle conseguenze. L’indignazione non serve a niente se non è accompagnata da una proposta, da una protesta, da una partecipazione interessata.
Nel film di Piergiorgio Gay sono molti gli interventi di personaggi famosi (oltre a Paolo Rossi e Ligabue), da Verdone a Margherita Hack, da Umberto Veronesi a Fabio Volo; ma sono altrettante le voci di giovani “qualunque” che raccontano di una realtà che non piace, di un disagio comune, di un muro che si vorrebbe sfondare. Una diciottenne dichiara che i ragazzi più giovani non hanno conosciuto l’Italia delle contestazioni, dell’interesse sociale, della democrazia vecchio stile indomma, quella con la D maiuscola. L’Italia di personaggi forti e positivi come Berlinguer e Pertini: per questo penso che il film dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole d’Italia: perché è uno specchio che riflette l’immagine rassegnata e stanca di un’Italia ignorante e noncurante. I ragazzi dovrebbero sapere che Pertini - ormai molto tempo fa - condannava i politici coinvolti in scandali e corruzioni, e dichiarava con tutto il vigore possibile che chi fa politica deve avere le “mani pulite”; devono sapere chi è Guido Rossa; devono conoscere la gravità del delitto Falcone e tutto ciò che ne è conseguito; devono vedere le immagini della prima nave, stipata da 20.000 profughi (20.000!!), arrivati dall’Albania nel ’91. Devono sapere come eravamo, come siamo. Devono voler essere migliori.

lunedì 22 marzo 2010

INVICTUS contro VERGOGNA: le due facce del Sudafrica post Apartheid

>Due settimane fa, spinta da curiosità per il nuovo lavoro di Clint Eastwood, ho visto “Invictus” al cinema, e subito mi è ritornato in mente un magnifico, tristissimo libro del premio Nobel J.M. Coetzee, “Vergogna”, edito da Einaudi (se conoscete l’inglese, consiglio sempre la versione originale – “Disgrace”, Ed. Vintage).

Tema comune è il Sudafrica del post Apartheid, visto però da due angolazioni diverse: il film di Eastwood è ambientato durante la presidenza di Mandela, che illuminato da forti speranze e guidato da una volontà titanica, cerca con tutte le sue forze di eliminare ogni traccia dei pregiudizi e delle differenze razziali che l’Apartheid appena finito (siamo nel 1992) aveva radicato nei 45 anni di permanenza. Per ottenere il suo scopo Mandela chiederà aiuto alla squadra nazionale di rugby, orgoglio degli afrikaaners e detestata dai neri, che si appresta a partecipare ai mondiali che si terranno proprio in Sudafrica. Mandela conta che una possibile vittoria della squadra possa arginare sia la sete di vendetta della popolazione di colore, dotata ora di nuova sicurezza dall’avere un presidente nero, eroe nazionale sopravvissuto ad oltre 20 anni di prigione, portavoce di tutte le sofferenze e di tutte le richieste della popolazione nera, sia lo snobismo degli Afrikaaners, che ancora si sentono superiori solo perché hanno la pelle più chiara. Riuscirà Mandela nel suo intento? A giudicare da come la pensa Clint Eastwood, pare proprio di sì. La popolazione nera si appassiona alle vicende della squadra, la squadra acquista nuova forza dal sostegno nazionale e da quello presidenziale, vincerà il mondiale e lascerà allo spettatore un lieto fine, che fa ben sperare un futuro di integrazione, se non addirittura di amicizia, tra le due popolazioni.

Che le cose non siano andate così ce lo dice Coetzee, con un romanzo antecedente al film, ma ambientato qualche anno dopo, nel 1999. Se “Invictus” si fonda sulla speranza e sull’ottimismo, “Vergogna” lascia l’amaro in bocca, ti apre gli occhi sulla desolazione e sulla mancanza ottimismo del Sudafrica post Apartheid. Il professor Lurie, in seguito ad una torbida relazione sessuale con una sua allieva, riceve il benservito dall’Università di Cape Town e si trasferisce nella fattoria della figlia Lucy. Se la città appare come luogo protetto, uniforme, la vita di campagna è molto dura, aspra, arretrata e pericolosa. Le rappresaglie dei neri sono temute, ci si barrica in casa la notte rassegnandosi ad uno stile di vita senza troppe prospettive. Quando la proprietà di Lucy viene saccheggiata e la ragazza violentata da un gruppo di delinquenti di colore, nessuno reagirà. Sia Lucy che Lurie, accetteranno lo stato delle cose, anzi si accomoderanno ad esse, senza nessuna speranza di cambiamento, privi dell’ottimismo che caratterizzava il governo di Mandela, e il film di Clint Eastwood. Non a caso il titolo originale del romanzo “Disgrace”, la dice lunga sulla situazione del Sudafrica post Apartheid. E non me ne voglia il Signor Eastwood, ma essendo Coetzee sudafricano, sono più propensa a credere alla sua versione dei fatti.